La Paranza: il Monferrato

monferrato

Villamiroglio (AL), Sabato 14 Luglio 2018.

Il furgone l'abbiamo preso. Tra le mille peripezie organizzative che ci accomunano, siamo due ritardatari cronici. La tabella di marcia salta di diverse ore. Mail, telefono, imprevisti e troppo sonno arretrato fanno del tempo un concetto a noi estraneo. La partenza era fissata per le dieci del mattino, alle due del pomeriggio non abbiamo ancora caricato gli strumenti per il lungo tour che ci aspetta. Immensi gong, decine di percussioni e una valanga di altri strumenti giace beata al quarto piano del palazzo dove Simone fa base. Un’ora e mezzo di sudata violenta, tra l’ascensore e le scale. Alle tre e mezzo partiamo alla volta di Villa Miroglio, nel Monferrato. Sudati e affamatissimi entriamo in autostrada sotto una cappa scura d’afa e tuoni. 
Pochi chilometri e inizia a grandinare, a luglio. Penso ai quaranta gradi della mia terra e vedo solo il gelo. Lapidati da un bombardamento di ghiaccio, ci fermiamo sotto un ponte. Grandi camion, rintanati come pulcini nell’aia. Chicchi tanto grandi da ammaccare le scocche delle macchine. L’autostrada è bloccata, non si vede nulla, non si avanza. Ad ogni ponte un tappo, il resto è una bolla. La visibilità cala disastrosamente sotto i dieci metri. Restiamo sospesi in un oblio alienante, in una guerra lattea di fucilate ghiacciate. 
Tra forti raffiche di vento, rami e qualche lenta e pericolosa planata, arriviamo finalmente a Villa Miroglio. 
La strada s’inerpica tra boschi e fiumi. Un timido panorama si nasconde nella tormenta. Basta poco e il tempo placa i propri animi. 
Raggiungiamo la destinazione, un’antica cascina, nel verde più assoluto. Campi di granturco, orti e vasti boschi. Lontane colline puntinate di castelli e ville antiche. Due raggi di sole e la natura esplode in mille sfumature di verde. Una moltitudine di stradine tra i boschi, un dedalo di viottoli, a tratti cupi, a tratti accecanti, bagnati da un sole tanallo, un sole dal braccio corto, a stento si mostra alle foglie, rintanato tra pesanti nuvole di pioggia. Zanzare anabolizzate e un’altra bufera mi costringono a ripararmi sotto un tetto.
Il Molino del Conte è una piccola azienda agricola biologica, tra le campagne della provincia di Alessandria. In compagnia di Paola Panella della scuola di yoga Madre India e del sitarista Riccardo di Gianni, lentamente inizia la lezione di sound meditation. Immancabili i flauti e le percussioni di Simone Campa
L’atmosfera si fa etera, fuori dal tempo e dallo spazio. L’età media dei presenti è tra i trenta e i quarant’anni; uomini e donne in fuga dalle pressioni urbane, alla ricerca di se in posti lontani, fuori dal loro stesso habitat. 
E’ un mondo che non mi appartiene e con cui ho difficoltà a relazionarmi. Metto da parte misantropia e diffidenza e cerco di affiancarmici nel modo che più mi s’addice, dietro la lente della mia macchina fotografica. 
L’utilizzo terapeutico della musica e delle vibrazioni ha origini ben più antiche della medicina moderna. Sitar, flauti e tamburi, suonati con maestria, donano una nota di misticismo al piccolo salone in penombra. I presenti si sciolgono, e tra yoga e meditazioni con le bende sugli occhi, scaricano tensioni e problemi, risvegliandosi purificati e assai più rilassati. Il misticismo e le discipline olistiche non mi hanno mai affascinato più di tanto, ma non posso di certo affermare che talune pratiche non siano utili. Come tutto, alle giuste dosi, può aprire la mente a nuove idee, nuovi orizzonti, o più semplicemente, permettere alle tante vittime della società contemporanea, di staccare dallo stress quotidiano e riprendere coscienza di se stessi, tra amici e conoscenti con interessi in comune. 
La serata si conclude tra una cena vegana  e quattro chiacchiere. Corriamo a dormire, alle sette si parte per la Val di Susa, Exilles ci aspetta.

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simone campa
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