Corto


30 Marzo 2020

Corto, come il nostro raggio d’azione. Nei rapporti, negli spostamenti, nella programmazione di un futuro al limite del postbellico.
Giorni, metri. Le nostre unità di misura si sono ridotte a brevi frazione di quanto potessimo percepire sino a qualche settimana fa. 
Ci chiediamo per quanto ancora dovremo vivere così, quali saranno le misure future, che ne sarà del nostro consolidato stile di vite. Le domande si susseguono indisturbate per ore, tra pareti pregne di sguardi, figli di una routine innaturale. Una su tutte gela il sangue, la domanda che ci dovremmo porre e di cui abbiamo una paura profonda: e se riaccadesse? Il sangue si gela, la mente vaga alla ricerca di un diversivo. Ancor prima di uscirne però è necessario valutare il verosimile scenario di una ricaduta o di un nuovo evento planetario che ci porti al tracollo. La probabilità che nei prossimi anni possa comparire un nuovo microorganismo letale si è incrementata notevolmente. Non ci sono soluzioni all’isolamento in attesa di una cura. Il problema quindi non si risolve ma si rimanda. Il debito pubblico e la contrazione economica non permetterebbero la pace sociale qualora un nuova pandemia prenda il sopravvento. 
Angoscia e logica si uniscono verso un unico obiettivo: la prevenzione. 
Se, impunemente, diamo una lettura razionale e intuitiva alle motivazioni di questa catastrofe planetaria è semplice identificare alcuni punti che potrebbero averla favorita. Inquinamento, densità e deforestazione, con una buona dose di interconnessione umana figlia del modello economico globalizzato di cui facciamo parte. Incappare in complottisamo e inutile demagogia è semplice e probabilmente rischio di esserci già dentro sino al collo. Rallentando un attimo e analizzando punto per punto, senza troppi tecnicismi e fantomatiche analisi scientifiche da bar è però possibile esprimersi con criterio. 
Deforestazione: argomento trattato da decenni, senza soluzioni sostanziali. Basta non tagliare alberi, troppo semplice. 
Inquinamento: dal trasporto all’abitativo, dall’energetico all’industriale. Buona parte della nostra vita ruota attorno al consumo di energia e di materie prime che al prezzo corrente di mercato è difficile produrre con impatti ambientali minori. 
Densità: dalla prima rivoluzione industriale la nostra specie tende ad agglomerarsi attorno a centri gravitazionali al fine di creare ricchezza. 
Globalizzazione: dipendiamo l’uno dall’altro, senza confini. Il sistema produttivo dell’economia mondiale è interconnesso in ogni settore, dall’agroalimentare al tecnologico.

Con appena quattro maglie abbiamo creato una catena inscalfibile, capace di portarci a fondo. Sino a che i disastri non colpivano i paesi sviluppati tutto era concesso, ma ora che siamo tutti sotto attacco e che anche i baluardi dell’economia stanno crollando, correre ai ripari è necessario alla sopravvivenza. Non si parla di emissioni zero in trent’anni, si parla di morti, di interi stati inchiodati e di un mondo che non può più esistere, oggi. Fa così capolino l’utopia di un modello diverso, di un sistema economico e sociale da rivedere. Di un accorciamento delle possibilità al fine di sopravvivere all’autodistruzione. 
Le regole della macro-economia andranno riscritte con cura e tutti dovremmo ragionare su quanto possiamo fare. I passi son tanti e le soluzioni dirette sono inarrivabili. Dopo il trauma, isteria e rifiuto saranno facili nascondigli, focolai di pericolosi movimenti ideologici. 
L’unica salvezza è sognare, crearci un mondo migliore, una vita diversa, una realtà costruita su un unico Noi. Il raggio d’azione del nostro operato sarà allora come oggi corto, anzi cortissimo. 

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